Storie di figli, cioè di tutti noi. Perché sicuramente è certo che una delle caratteristiche che accomuna tutti gli uomini e ci universalizza, facendoci sentire, volenti o nolenti, uguali e identici a ogni altro essere umano, è proprio il fatto che, senza ombra di dubbio, siamo tutti, ma proprio tutti, figli. Nati dall’atto d’amore di genitori desiderosi di creare e donare la vita, quel bene prezioso incidentale per il nascituro, che non chiede di venire al mondo ma ci si trova, e con questa realtà ci deve poi fare i debiti conti. Ma il legame viscerale e plasmante che si forgia fra genitori e figli è indelebile ed eterno, non privo di anomalie, difficoltà, errori, distonie, come ogni relazione profonda della nostra esistenza, ma altresì è sicurezza, conforto, rifugio, certezza.
Un rapporto sentimentale che è comunque vincolante e che a un certo punto naturalmente si deve recidere, come quel primo taglio del cordone ombelicale che ci stacca dalla tana protettrice del ventre materno. E così “tradiamo” tale amore istintuale, nel senso originario del termine tradire, ossia lo “consegniamo” a qualcun altro all’esterno proprio dell’ambito parentale, a un patner, un amico, un figlio… Storia di guerra, quella della Bosnia negli anni ‘90, che io ho vissuto più che altro attraverso le fotografie che un reporter, al seguito dei caschi blu, portava a stampare nel laboratorio in cui lavoravo. Fermoimmagini di devastazione e orrore: e sentivo ridondare dalla carta, partitura di una macabra sinfonia, il rumore assordante degli spari e i gemiti sotto le macerie di intere città distrutte. Eppure era talmente vicina, al di là di un braccio di mare: ma nella quotidianità di quel periodo passava e andava senza travolgerci. Eppure ancora c’erano i bambini, che come in ogni guerra subivano le inspiegabili e terribili decisioni degli adulti, che non erano né vivi né morti ma involontarie “comparse”, prigionieri di un destino crudele e soltanto “liberi di morire”… Sarajevo 1992: Omar e Nada, una decina di anni entrambi, vivono nell’orfanotrofio Ljubica Ivezìc con i loro rispettivi fratelli più grandi Sen e Ivo. Spesso i bambini venivano portati in queste strutture emergenziali per dare loro una possibilità di sopravvivenza dai proiettili, sparati costantemente dai cecchini appostati sulle montagne, dalle bombe e dalla fame, in quella città avvallata che aveva la forma di una culla, ma che della culla aveva perso la sua funzione di riparo sicuro. Alcuni avevano perso i genitori: figli virtualmente non più figli. Altri li avevano ancora, ma lontani: figli a metà. Comunque sia erano stati strappati violentemente proprio da quel legame intrinseco e connaturato, con tutte le conseguenze del caso, perché, che lo si voglia o no, in siffatta circostanza si è costretti a crescere in fretta e in un sol colpo: Omar “del giorno che era stato lasciato all’orfanotrofio… non ricordava nulla. C’era il tempo prima e il tempo dopo, ma il giorno della cesura fra un tempo e l’altro l’aveva rimosso”. La madre lo andava a trovare ogni volta che poteva, ma l’ultima fu fatale, una granata e non la rivide mai più. L’orfanotrofio diventa una piccola comunità, dove i più grandi si prendono cura dei più piccoli, dove il più “forte” diventa il leader che coordina il momento del gioco e quello della ricerca di cibo. Fino a quando, a luglio, vengono caricati su un pullman per essere tradotti in Italia e affidati alla cura di una nuova famiglia adottiva: nuovi figli! senza che le famiglie d’origine, se ancora in essere, potessero venirne informate per le logiche difficoltà di comunicazione.
Il viaggio è un’avventura verso l’ignoto, verso una terra nuova di cui non si conosce la lingua e dove non ci sono i loro affetti più cari, un ennesimo strappo e un totale sradicamento. Ed è proprio durante questa trasferta, tra le bombe esplodenti, la rovinosa totale desolazione, attraverso i check point, che si consolida un’amicizia salvifica tra Omar, introverso e ostile nell’accettare il cambiamento, sempre in attesa della madre a cui solo voleva obbedire; Nada, silenziosa e chiusa in se stessa, a cui manca un dito della mano e per questo è spesso bullizzata dai suoi coetanei: talvolta anche i bambini sono istintivamente “crudeli”, come altrettanto istintivamente si avvicinano a chi ha più affinità empatica con loro; e Danilo, un compagno di questo viaggio di crescita e di salvezza.
La loro unione sarà così forte e profonda da sostituire la mancanza dell’amore primigenio dei genitori, formando un nuovo nucleo famigliare, dove si aggrappano l’un l’altro e dove sono l’uno per l’altro. Un connubio non sempre facile e lineare, potentissimo, tormentato, “tradito” in certi momenti, ma pur sempre indispensabile, fondamentale, salvifico, che non potrà mai finire, anche quando saranno cresciuti e lontani… Storie di figli e genitori; storie di sentimenti così intensi da non poterne più fare a meno ma da cui quasi rifuggire per la loro soffocante limitazione; storie di luci e ombre di cui la vita si compone… Storie di bambini come ne potremmo raccontare tante anche oggigiorno, con la guerra in atto in Ucraina, che sembra non poter avere rapida soluzione, e il tremendo terremoto in Turchia e Siria, che ha raso al suolo migliaia di chilometri quadrati di città e migliaia di vite. Ancora tanti piccoli profughi, destinati a essere estirpati dalle loro radici.
Se pensiamo poi al coraggio di madri che imbarcano i loro figli in quei viaggi sul mare della speranza e che non sapranno forse mai più che fine hanno fatto! In buona sostanza che sia l’uomo o la natura a essere distruttiva, sono sempre i più piccoli a pagare il prezzo più grande… “Se anziché al sicuro Dio fosse stato quaggiù, di fronte a quelle sagome traballanti, all’eco delle loro urla contro il soffitto altissimo, al bagliore delle bombe che li rivelava di colpo per ciò che erano, due bambini, si sarebbe intenerito al pari di un vecchietto qualunque, e forse si sarebbe fatto carico del loro destino”… di questi aquiloni che al momento giusto si alzano in volo, librandosi nel cielo azzurro cosparso di cirri e nembi della loro esistenza.
Ombretta Di Pietro
Dall’autrice del bestseller internazionale ‘Le assaggiatrici’, premio Campiello 2018, il nuovo e atteso libro di Rosella Pastorino ‘Mi limitavo ad amare te’, Feltrinelli edizioni. Il 4 febbraio l’autrice ha incontrato i lettori alla libreria Tarantola di Sesto.