
A quattro anni dalla scomparsa del poeta e scrittore Paolo Lezziero, nostro prezioso collaboratore, l’amico e collega scrittore Carlo Carlucci ci invia questo scritto in cui, con parole struggenti, ricorda lo scrittore, l’uomo e l’amico.
Ero a Sesto San Giovanni per il funerale di Paolo Lezziero. Fuori sul sagrato mi ero incontrato con un amico comune, un vecchio amico, il pittore Claudio Granaroli, di Bergamo.
Rievocammo i tempi di quasi cinquant’anni prima, quelli della rivista Pianura, di Sebastiano Vassalli. Tu Paolo avevi mantenuto dei rapporti di continuità con Granaroli per via delle edizioni El Bagat che il pittore editore teneva in vita con metodo e costanza.
Vassalli lo aveva indirizzato e aiutato nell’avviare l’impresa. Gli oltre cento titoli erano e sono tuttora piccoli libretti molto curati nei testi e nella forma tipografica. Una sorta di unicum nel nostro panorama editoriale e tu ci avevi messo il suo generoso contributo, sia da un punto di vista materiale che intellettuale. Non avendo io frequentato consorterie di sorta, non avevo agganci. Mi ero rifiutato di fare la gavetta come tutti in Italia hanno fatto e faranno (dai più grandi ai più piccini), e quindi mi vedevo regolarmente respinti i dattiloscritti. E devo proprio a te Paolo se tre libri miei hanno visto la luce in Italia.
Ad una serata a te dedicata due o tre anni fa a Sesto con plurimi interventi tutti concentrici e convergenti venne fuori che proverbiale, discreta (e cioè nascosta) tua generosità era sempre stata debordante come una fonte sorgente inesauribile. E fu allora che mi resi conto di quanto avevi avevi contato, quanto e come ti eri speso per l’altrui.
Ma torniamo al sagrato della Chiesa di Sesto. La funzione funebre stava iniziando e Granaroli a malincuore doveva accomiatarsi in quanto non so se perché ateo o qualcosa del genere.
Entrai da ultimo e fui subito catturato da una commuovente, indicibile sorpresa: nel silenzio sacrale degli astanti, il prete viene a prendere la parola con un tono inconsueto, inedito, che coglieva tutti di sorpresa. L’officiante non era più prete, le sue parole erano quelle di un amico e basta. Paolo non frequentava chiese o oratori eppure era lì, presente in tutta la sua statura morale e naturalmente corporale.
Il prete amico e compagno e fratello giungeva a redimersi da ogni formalità di culto, improvvisamente e doppiamente rivendicando il suo diritto di parlare in nome di qualcuno che aveva ben speso, ottimamente speso l’avventura della vita senza preclusioni di sorta, o paraocchi o altro.
Così parlava l’officiante in un modo in cui ti rendeva, ti tributava tutta la vita che meritavi. E le volte della chiesa parevano racchiudere, proteggere, insufflare quel tuo potente, generoso, vasto e indicibile soffio…. e come chiamarlo?, della tua bontà assoluta?, della tua generosità illimitata? Ma il termine più vero, il tuo appellativo più vero é quello di Poeta, dal greco poiein, ovvero il facitore per eccellenza.
E proprio Da le part ad me mama, uno dei primi titoli di El bagat, un volumetto esile esile di poche poesie smozzicate nel dialetto improbabile per iscritto, anzi mi pare reso in scrittura da un amico ferrarese costituí in certo modo l’esordio pieno e quanto senziente e altero nei tratti, nei pochi ineludibili, insuperabili versi.
Il poeta e lo scrittore così parco d’immagini, ma così essenziale, cosi presente nel mondo di pianura a volte affuocata nell’estivo sole o ghermita dalla nebbia ma in simbiosi sempre con un orizzonte aggredito da ciminiere abbandonate, o dai multi piani tipo quello dove tu Paolo vivevi. Dove improvvisamente il sole del mattino poteva esplodere liberamente nel fulgore estivo.
E che dire o che dirti ancora carissimo Paolo che nemmeno nella morte parevi morto e nemmeno a pensarci che eri dentro quella grande bara di legno che calavano e calavano… E fuori dal dormitorio come i Greci chiamavano il cimitero, in una foto a colori di un manifesto c’eri tu. Eternamente sorridente.
E come ti trovi di là? Si può ancora sognare? Noi di qua continuiamo a farlo. Anche senza volerlo.
Gli avevo telefonato poi a Granaroli dopo la cerimonia. Gli dissi che aveva fatto male per via del suo ateismo ad andarsene, perché il compagno prete aveva parlato in una maniera così… Ma lui parlava di te e solo a te Paolo.
Che dire poi, che dire dei tuoi libri, libretti e in definitiva libroni perché trasudanti vite, amicizie, valori, volti colti come in un istantanea.
E il tuo amico editore? Edizioni La Vita Felice perché così deve essere la vita, malgrado tutto e sempre. E per questo nessuno pareva intristito. E per questo l’amico prete parlava di te a con noi come compagni. E per questo le caracollanti nubi bianche sembravano portare messaggi-sogni e per noi quaggiù e per te come già librandoti. Sei ancora in ascolto Paolo, lo sento.
Vi consiglio cari lettori di fare un gioco; con i tuoi libri. Prendete quelli di un altro scrittore qualsiasi o Vassalli, o Calvino o di chicchessia. Aprite a pagina tot i racconti di Storie della Bettola vecchia, e leggete dieci righe e poi passate a un libro di Calvino, o di Vassalli e leggete dieci righe alla stessa pagina e poi domandate quale lettura era stata più vera.
Così a dirimere conteggi, esiti, il dunque il circoscritto apparente della tua prosa/poesia giocata su pochi elementi esteriori (e in fondo sono pochi sempre a volerli enumerare gli archetipi dello scrittore) ancorati o ruotanti sulla base o trono che dir si voglia. I viaggi sempre o quasi a corto raggio, Sesto-Milano. Ma a Milano avevi, oltre alle visite alle due o tre piccole librerie dell’usato, dei doveri, cioè correggevi le bozze per la rivista Emergency. Eri amico di Teresa e Gino Strada. E ne passava di dolore del mondo sotto i tuoi occhi sempre vigili, attenti.
Eri stato Paolo, pur così appartato, schivo, sempre presente. Ricordo una tua foto a Parigi, forse nel maggio famoso. C’eri ma senza iattanza o ostentazione. Ricordo il tuo scritto che rievocava la tua visita ad Alba ove fosti l’unico, per quanto mi consta, ad ascoltare la madre di Fenoglio che parlava del figlio. O quando a Milano andasti a trovare Montale ma purtroppo era assente ti disse la governante.
Ma la notte forse salivano in tanti a quel sesto piano di Via Casiraghi: fantasmi del mondo contadino, o delle già fu fabbriche, fantasmi di successive ondate migratorie, di insediamenti, di stratificazioni, di ricordi, di presenze umane col carattere del provvisorio e dell’evanescente. Un mondo minimale, alla ricerca di un a sé stante, di un purchessia che connotasse, che definisse.
Paolo Lezziero: cantore di un mondo perduto e riperduto ma sempre, grazie a te, alla tua ferma tenacia, e alle tue pagine, un mondo ogni volta veniva vitalmente, umanamente ritrovato.
Il compagno prete parlava come tu scrivevi. Ciò facendo e senza volerlo, come in un inedito, spontaneo rituale, la chiesa negli aleggianti ancora fumi degli incensi risuonavano le parole di un officiante che d’istinto, inanellava frasi in sintassi ritmata, evangelica: pochi gli aggettivi, ma verbi si e nomi sostantivi in uso nel già fu mondo contadino, nel già mondo degli inurbati e spaesati nessuno….
E alla fine le parole vere di Paolo erano per così dire sussunte, ripetute, veicolate, amplificate dall’amico senza volerlo. Ma così si svolse cerimonia. Nessuna perifrasi o circonlocuzione o metafora. Il linguaggio era intenso e vergine. Portava con se i sedimenti di un fiume antropico, che ha attraversato boschi, nuclei abitativi, paesi sperduti, le piccole, spettrali cittadine che si vedono da un treno.
Sono solo delle idee, abbozzi. Ma verranno ripresi perché gli amici della serata a lui dedicata, senza niente di preordinato, avevano tessuto interventi variegati e plurimi che, a loro volta, parevano preannunciare, o stabilivano delle premesse, o dei punti di partenza per… Chissà.
In un’ora pensante del mattino
Le tue stanze di Via Casiraghi
Le tue storie della Bettola Vecchia
Quel mondo perduto e universale
I cari amici la famiglia
Caro mondo purchessia
Onda ricordo vita
Verità vivezza
Una corsa di staffetta
Da vita a vita
Il testimone a riceverlo a trasmetterlo
Con mani intrepide
Lievi elastici
L’ansimare silenzioso
O Paolo
Carlo Carlucci