Che cosa realmente decretò la grande fortuna del fortunato Fortunato Depero che, fortunatamente, lo consacrò agli onori della storia dell’arte, quella a 360°?
Già nel suo nome un destino? Direi più che altro che fu il suo indiscutibile genio e la sua eccentrica sregolatezza, alla stregua di un divo hollywoodiano. Al punto che si vocifera che fosse spesso “in bolletta” tanto amava concedersi il lusso di godersi la vita a più non posso, divorando ogni istante di un tempo che scorreva veloce e ogni atomo di spazio in convulso movimento: scherzosamente, giocosamente, luminosamente, coloratamente e gioiosamente.
Così come prevedeva il manifesto per la “Ricostruzione futurista dell’universo”, che scrisse nel 1915 insieme al suo “maestro” Giacomo Balla: rivoluzionare il mondo attraverso l’arte nella sua totalità di espressioni, un’arte omnicomprensiva e trasversale che invade l’esistente e penetra nella vita delle persone per imprimere, con un’accelerazione dirompente, turbinante, spiralante e diagonalizzante, quel mutamento costante verso un continuo rinnovamento di una modernità goliardicamente appagante. Ebbene sì: Depero era un futurista, anzi per meglio dire “il più futurista dei futuristi”! appartenete a quanto si suole definire “secondo futurismo”.
Il primo era quello di Marinetti e Boccioni, per citare i capostipite, il nucleo storico del 1909-1916, anarchico-socialista, antiborghese e anticlericale, repubblicano, che nel 1914 manifestò per l’interventismo contro l’Austria, imprimendo una natura fortemente politica al movimento fin dagli esordi: “Noi vogliamo glorificare la guerra- sola igiene del mondo- il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore” (T. Marinetti). Il secondo, che iniziò dopo la morte in guerra dello stesso Boccioni, era la generazione più legata al fascismo, anche se sostanzialmente tutto il futurismo fu associato a codesto pensiero e considerato il suo fondamento ideologico, la sua espressione propagandistica, il suo “sentire”. Come diceva Benedetto Croce “l’origine ideale del fascismo si ritrova nel futurismo”, che certamente intravide nel partito fascista la possibilità proprio di quella rivoluzione modernista tanto ambita e sospirata, nella comunanza di istanze quali il culto della velocità, della grandiosità, delle soluzioni violente, della fascinazione ipnotica delle masse, tanto abiurate ma anche le interlocutrici privilegiate, il disprezzo per la burocrazia e un nazionalismo edificante. Ma spesso questo giudizio è divenuto un pregiudizio critico, che ha avuto come esito la condanna del futurismo stesso e una sua rivalutazione solo recente, considerando il fatto che spesso l’adesione al fascismo era una questione di opportunità perché si aveva pur “bisogno di mangiare”, come sostenne lo stesso Depero. E senza tralasciare che un regime legato alla tradizione, alla classicità, all’edonismo imperialista “romanizzante” strideva con la libertà totale di espressione e con lo sguardo rivolto solo in avanti, cancellando completamente il passato, dei futuristi: che dopo il ‘20, appunto, si allontanarono dal “traditore” governo fascista. Parentesi doverosa, come dobbiamo doverosamente dire che il “secondo futurismo” in sostanza fu Depero. Colui che più di tutti riuscì a portare l’arte fuori dai musei: “la strada sarà la nostra galleria”; e che comprese che per fare ciò era strettamente necessario unire la “figurazione” all’ “applicazione”, la pittura all’illustrazione, in una parola fondere arte e pubblicità.
Con il suo “Manifesto dell’arte pubblicitaria” fu colui che maggiormente fece suo il principio futurista che vedeva nella la pubblicità “l’arte nuova del mondo moderno”, meglio ancora creò esattamente la moderna pubblicità. In grado di stupire, divertire, arrivare dritta allo sguardo e alle menti delle persone, travolgendole con quelle forme astratte, burattinesche, parallelepipedee, composite, iperdinamiche, dai colori piatti e vivaci per colpire e sorprendere, con letterings studiati ad hoc che si spingevano fuori dal foglio e slogan divertenti e ironici: perché tutto doveva essere un gioco allegro, spensierato, festoso, la felicità un dovere, lo status dell’esistenza umana. E fu così che la fortuna – perché sempre un briciolo di buona sorte serve nella vita – fece incontrare il grande artista con il grande imprenditore, il Commendator Campari, il cui fortunato sodalizio fu decretato dall’esposizione alla Biennale di Venezia del ‘26 del quadro “Squisito al selz”, che Depero dedicò proprio a Campari forse già intuendo la possibilità di una fortunosa e fortunata collaborazione.
E così fu. Seguirono numerose campagne pubblicitarie che ruotavano intorno al “bitter” e al “cordial”, le bevande per eccellenza della ditta, tassativamente in bianco e nero, perché allora si pensava alla stampa bicromatica dei quotidiani alla quale spesso le stesse erano destinate: con la sola venatura rosso vivo del liquido liquoroso, sanguignamente pulsante sulla cartellonistica e negli esofagi delle gozzoviglianti persone durante gli aperitivi o le serate festanti. Commesse che erano certo ben pagate, si parla anche di 5.000 lire: e se nel ‘39 si cantava “se potessi avere 1000 lire al mese”, si comprende la portata del compenso.
Non possiamo non menzionare la famosa bottiglietta del “Campari Soda” disegnata proprio da Depero e che è divenuta l’icona per eccellenza del brand della ditta. E tutto il merchandising che nacque a seguito delle medesime pubblicità, secondo la logica stessa del Depero per cui era indispensabile entrare nelle case delle persone producendo oggetti di funzionale utilità, sposata, altresì, con un’estetica decorativa di gusto precisamente “deperiano”. Ebbene, se il futurismo si deve considerare l’avanguardia delle avanguardie, che tutte le restanti toccò e condizionò, superando decisamente i confini nazionali, Depero fu colui che inventò la pubblicità per come ancora noi oggi la intendiamo, e quel concetto di arte poliedrica di fusione totale di elementi che mirava alla produzione artigianale-industriale di manufatti pratici. E se ci guardiamo intorno non possiamo non scorgere tracce di “deperitudine” che ancora ci circondano e ci solleticano, il fortunato spirito geniale che è giunto fino a qui, come “il refrigerio che ristora e disseta”: “premio al vincitore!” Fortunato e… un buon Campari Soda a tutti!
Ombretta Di Pietro
L’incontro “Il Genio di Fortunato Depero”, ultimo del ciclo “Raccontare l’Arte” organizzato dalla Galleria Campari e Dalla Fondazione Corriere della Sera per i 130 anni dalla nascita di Fortunato Depero, si è tenuto giovedì 1 dicembre in Galleria Campari a Sesto San Giovanni, con la partecipazione di Maurizio Scudiero, Responsabile Archivio Depero, Simona Bartolena, Storica dell’Arte, Roberta Scorranese, giornalista Corriere della Sera.
La mostra monografica dedicata al grande artista è visitabile presso la Galleria fino al 21 dicembre.