© Giovanni Daniotti

Il genio di Andy Warhol in mostra a Milano

Achille Bonito Oliva e Edoardo Falcioni © Giovanni Daniotti

“Nel futuro tutti saranno famosi in tutto il mondo per 15 minuti”. Così soleva dire Andrew Warhola Jr., nato a Pittsburgh il 6 agosto 1928 da genitori immigrati di origine slovena.
Noto come Andy Warhol, possiamo ben affermare che il suo quarto d’ora di mondiale notorietà non solo lo ha ottenuto ma lo ha superato alla grande! Emblema indiscusso della Pop Art, che non sarebbe mai stata quella che ancora riconosciamo nei principi, nella sostanza e nell’importanza in mancanza del  suo inestimabile contributo, poliedrico artista che si destreggiò nei più disparati ambiti (fu pittore, grafico, illustratore, scultore, sceneggiatore, produttore cinematografico e musicale, regista, fotografo), caratterizza l’avanguardia americana del XX secolo per irrompere prepotentemente sul palcoscenico internazionale fino ai nostri giorni, senza smettere mai di rivestire un ruolo di primo piano.
Tutti noi abbiamo visto almeno una volta, ma oserei dire di più, un’opera di Wharol, anche solo stampata su una maglietta, su un poster, una tazza, una penna, uno zaino… e siamo in grado di riconoscerla istantaneamente tanto si è radicata nel nostro cervello. Ed era proprio questo il suo obiettivo: fare un’arte per tutti, alla portata di tutti, usufruibile globalmente, che entrasse indelebilmente nell’immaginario collettivo, e, non pago, fare dell’arte un business, non solo con l’iperproduzione compulsiva, ma anche con tutto il merchandising annesso e connesso.

© Giovanni Daniotti

La retrospettiva a lui dedicata si compone di 300 opere, divise in sette aree tematiche e tredici sezioni, ospitando pezzi unici che mettono in evidenza non solo il genio creativo dell’artista ma anche la duttilità nell’uso di tecniche e materiali tra i più disparati: tele, serigrafie su seta, cotone, carta di varia tipologia, disegni, fotografie, acetati, polaroid, dischi originali, t-shirt.
Partendo dai suoi esordi negli anni ‘50 , quando, dopo la laurea, si trasferisce nella Grande Mela e diventa un illustratore pubblicitario di successo nell’ambito della moda, lavorando per importanti riviste come Harper’s Bazar, New Yorker, Glamour e Vogue.
Mostra, da subito, abilissime doti nel disegno illustrativo, incarnate nel “Gold Book” del ‘57. Ed è proprio allora che scocca la scintilla, quando Warhol comprende la possibilità di trasformare la pubblicità stessa in una forma d’arte, liberando l’immagine da ogni limite astrattivo o rappresentativo, portandone l’essenza in superficie per renderla immediatamente fruibile, masticabile, consumabile come qualsiasi prodotto di uso comune.
Espressione eccentrica, quasi iperbolica della società dei consumi, specchio riflettente ma anche deformante, l’arte di Warhol non deve creare, ma produrre e riprodurre, come in una vera e propria catena di montaggio. Per ottenere tale risultato utilizza la serialità, la ripetizione quasi ossessiva della stessa immagine, ottenuta grazie all’ausilio di un impianto serigrafico, che ha anche il pregio di velocizzare il lavoro, usando colori diversi, sovrapposizioni di forme e segni articolati su un’identica forma di base. Così gli anni ‘60 vedono l’assurgere a veri oggetti e soggetti d’arte le iconiche lattine della Campbell’s Soup, le Brillo Box (scatole di paglietta per stoviglie) accanto a personaggi dello star system, su cui spicca inesorabilmente “Marylin Monroe”, e ancora a  sedie elettriche,  incidenti stradali (“Car Crash”), rivolte (“Race Riot”): perché tutto può essere “consumabile”, soprattutto se la sua forma medesima diventa altro da sé, dalla sua funzione primaria, per trasformarsi esattamente in riprogettazione, alla mercé di un “commentatore sociale”.
Gli anni ‘70 contraddistinguono il ritorno vincente del ritratto, sdoganato dai paletti dell’ espressionistica  cultura artistica dominante. Importante è la serie “Ladies & Gentlemen” dedicata alle drag queen, simbolo di emarginazione e pregiudizio e qui proclamate vere e proprie regine-stars di un nuovo modo di essere e pensare (per Warhol sarà la possibilità di ammettere tacitamente la propria omosessualità).
Un ruolo di primo piano riveste anche la musica, con le fondamentali collaborazioni con The Velvet Underground, di cui fu anche produttore, e The Rolling Stones, di cui vediamo una sequenza di ritratti dedicata al cantante Mick Jagger. Fino a giungere alla sacralità degli anni ‘80, dove prevale la pittura pura sulla serigrafia nella riproposizione, rivista e corretta, di opere classiche di De Chirico, Munch, Botticelli e Da Vinci e nella “classicizzazione” a simbologia definitiva dello yuppismo e del benessere economico dei “Dollar Signs” e dei “Fish”.
Warhol muore per un’infezione alla cistifellea nel 1987, poco dopo la sua ultima opera “Last Supper” ispirata al “Cenacolo” vinciano, una strana coincidenza, ma forse anche un giusto omaggio al suo convinto credo cattolico e soprattutto alla sua concezione “democratica” dell’arte e degli stessi prodotti di consumo, che rendono inevitabilmente tutti uguali: “Una Coca-Cola è una Coca-Cola e non c’è denaro che ti consenta di berne una più buona di quella che sta bevendo un barbone all’angolo”!
Allora saliamo sulla decoratissima BMW Art Car (da lui stesso pittata) che ci attende all’ingresso e che, con un’accellerata incredibile, ci trasporta sulle note delle sue composizioni psichedelicamente colorate, sostando qualche minuto, per rigenerarci un poco, nella sua “Silver Factory”, il mitico laboratorio sulla 47° strada, magari dando una sbirciatina alle fotografie modificate con il Commodore Amiga 1000, di cui fu testimonial, e facendoci uno scatto con la sua Polaroid SX70. Il mondo di un uomo che considerava l’artista “uno che produce cose di cui la gente non ha bisogno, ma che egli – per qualche ragione – pensa sia una buona idea darle”. E nel suo caso conveniamo che l’idea è stata ottima.

Ombretta Di Pietro         

La mostra “Andy Warhol-La pubblicità della Forma” è promossa e prodotta da Comune di Milano Cultura e Navigare, a cura di Achille Bonito Oliva con Edoardo Falcioni per Art Motors, Patner BMW.
Dal 22 ottobre 2022 al 26 marzo 2023 alla Fabbrica del Vapore, Via Procaccini 4 Milano – 
fabbricadelvapore.org
La mostra è stata prorogata fino al 10 aprile 2023 

 

 

 

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