Per comprendere appieno l’importanza e la grandezza dell’opera artistica di Grazia Varisco, donna emblema della nostra avanguardia moderna e contemporanea, milanese di nascita e il cui valore è riconosciuto a livello internazionale, dobbiamo tornare alle origini di quelle complesse dinamiche di pensiero che sottendono il tutto.
Un viaggio a ritroso, al tempo degli esordi, proprio quel “Tempo” che è principio di mutamento e divenire costanti e costantemente dialogante con lo “Spazio”, incubatore di forme mobili e trasformantisi a ogni singolo rintocco di secondo.
Un rapporto quello tra spazio e tempo, come è ben deducibile, articolato e strutturato, in un reciproco interscambio dove lo spazio stesso può essere fermo, movente o fluido, ma il tempo scorre sempre e finisce per determinare il cangiare di ogni cosa in una sorta di prevaricazione sull’entità spaziale stessa. Ricordiamo, dunque, che nel 1960 la Varisco entra a far parte del milanese Gruppo T (che sta appunto per “tempo”), fondato nel ‘59 da Giovanni Anceschi, Davide Boraini, Gianni Colombo Gabriele Devecchi, che si ispira ai diktat della cosmopolita Arte Cinetica e della più autoctona Arte Programmata, termine coniato da Bruno Munari.
Nel considerare la realtà che ci circonda come un continuo proporsi di “fenomeni” che noi stessi percepiamo nel loro variare, l’opera artistica, inserita nella realtà medesima come suo specchio e sua parte, non può che essere in progressivo dinamismo mutante nella sequenza temporale.
E’ implicita l’importanza della nostra percezione visiva, dell’imprinting a imput varianti sulla retina della lettura “oculare”, nel moto “perpetuo” di ciascun elemento. Siamo così in presenza di un lessico “aniconico”con matrice astratta, geometrica, di estrema sperimentazione formale, dove forma, luce e colore entrano a far parte di un andante incessante dalle variegate sfaccettature percettive dell’immagine. L’opera, così, si compone di strutture che ospitano lo spazio realizzate secondo un preciso programma di calcolo, originante sequenze temporali ripetute, ordinate, ovvero variabili, casuali o strumentalmente “caotiche”. E con le quali l’osservatore può e deve interagire, contribuendo a questa metamorfosi insita e visuale, attraverso elementi meccanici reali o altresì con il virtuale spostamento del punto d’osservazione. Ecco la matrice originaria dell’inteminabile produzione artistica della Varisco, lungo oltre sessant’anni di attività, testimone di quell’arte del “percepito”, del rinnovamento e dell’alterazione persistente, del programmato e del caso, del lineare e del caos variabile, del pieno e del vuoto. In cui, con tutta evidenza, introduce un senso illusorio, relativistico e di precarietà accanto alla volontà deterministica, in un gioco dialettico tra opposti di cui noi siamo partecipi, in un qualcosa che si fa “mentre noi lo ispezioniamo” (Umberto Eco).
Entriamo, dunque, in questo tridimensionale mondo moltiplicato, aperto, di scambievole reciprocità attiva, di più di centocinquanta “Miriorama”, ovvero “infinite visioni” (termine da riferirsi al Gruppo T), dal forte impatto percettivo-psicologico, che sollecita enormemente il nostro sistema neuronale. In un percorso consequenziale, dagli albori anti-informali e anti-figurativi, alla coerente prosecuzione fino ai giorni nostri, in un procedere, perché l’andare è cinesi e trasformazione, che sorprende di vivace energia a ogni cambio sala.
Dove si respira il senso del quotidiano, del domestico, della semplicità, orizzonti che mandano espliciti segnali che bisogna saper interpretare, come la Varisco sa fare tramutandoli in “Arte”. Con l’utilizzo di svariati e versatili materiali che le consentono di “matericizzare” le sue creazioni e renderle interagenti: tavole magnetiche che permettono di cambiare la disposizione delle parti a discrezione della volontà del visitatore; schermi luminosi di metacrilato blu con motorini elettrici e luci al neon che disegnano mobili origami ricomponentisi, in una sollecitazione quasi ipnotica; vetro industriale che restituisce un vertiginoso effetto di rifrazione e deformazione nello spostamento; e poi ancora elementi più modesti come cartone, legno, specchi, barre di metallo, chiodi, in un minimalismo formale che precorre la cosiddetta “arte povera”.
In un sovrapporsi di piani che tridimensionalizzano il bidimensionale senza creare spaccature, ma sottolineando il contenimento dell’uno nell’altro, come in una sorta di macrocosmo ospitante il microcosmo. In un incastro di barre metalliche che danno vita a ecclettiche sagome multiformi, che si incuneano nello spazio come meridiane discorrenti e colloquianti di un tempo che c’è sempre e inesorabilmente. Come ci siamo noi, in questa ludica scambievolezza dove non può non essere evidente la stretta relazione tra “concettualità” e “realizzazione” e dove ritroviamo una speranza per il futuro, che oggi solo l’arte sembra restituirci. In questo girare meccanico delle lancette di un ipotetico orologio cosmico, in un tic tac danzante nel sinuoso artificio che è il gioco della vita. Ma ogni tanto è necessario il silenzio, l’assenza, la sospensione, la pausa tra un prima, un durante e un dopo: fermarsi un po’, riprendere fiato, per ritornare con più forza a rileggere e “riprogettare” il mondo, sempre sperimentando.
Ombretta Di Pietro
La mostra “Grazia Varisco. Percorsi Contemporanei 1957-2022” promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e Archivio Varisco, a cura di Marco Meneguzzo, realizzata con il supporto di Intesa Sanpaolo e Italmobiliare, catalogo Skira Editore. Palazzo Reale di Milano, dal 22 giugno al 16 settembre 2022, ingresso gratuito. Per info: www.palazzorealemilano.it).