
“Quando si entra nello studio di Joaquín Sorolla, sembra di andare incontro al mare e al cielo; non è una porta che si chiude dietro di noi; è una porta che si apre al mezzogiorno. Io davanti alla pittura di questo gioioso levantino provo un’emozione priva di pensiero, muta, sorda, piena di un pomeriggio in campagna” (Juan Ramòn Jimenéz, 1904).
Nessuna descrizione risulterebbe più appropriata per esplicitare l’immenso valore dell’opera artistica del grande pittore valenciano, uno dei massimi esponenti dell’impressionismo iberico, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, che diede un forte impulso al moderno rinnovamento dell’arte spagnola del periodo fino a condurla ad assorbire l’influenza del clima della Belle Époque.
Procedendo nel percorso espositivo siamo, infatti, travolti dalla potenza espressiva delle scene rappresentate, finestre che si aprono su un mondo fatto di magico realismo dalla bellezza estatica, dalla sublime estetica della meravigliosità del vero, che ci proietta a una virtuale dimensione da sogno. Rimanendo senza fiato, incantati, ipnotizzati al punto da non riuscire quasi a levare lo sguardo. Turbati e conturbati dalla forza dirompente di una vivace, vitale, vibrante tecnica pittorica, con le sue pennellate dinamiche, vorticose, pluridirezionali, svelte, dai tocchi brevi di colore accostati in successione rapida o dai tratti più ampi ravvicinati o sovrapposti in sfumature composite.
Un colore che spesso diventa, altresì, così materico che pare essere gettato e spatolato sulle tele, creando una tridimensionalità delle immagini tale da farle fuoriuscire dal quadro. Rimaniamo abbagliati da quelle cromie così ardenti che accendono la nostra vista e acuiscono ogni nostro senso; che ci ruotano intorno, fino a risucchiarci in un vortice che ci trasporta dentro la scena stessa. E se le osserviamo da vicino proviamo quasi una sensazione di vertigine in quell’insieme roteante di tinte che si fondono e confondono, mentre, invero, riusciamo ad avere la chiara percezione del tutto allontanandoci di qualche passo. Un artista che dipinge la vita, raccontata attraverso l’“opera di un romanziere che usa il pennello al posto della penna”. Nella sua totale autenticità e nel suo continuo divenire, ritraendo sempre e rigorosamente “en plein air”, per quel bisogno di “verità” che solo l’immagine dal vivo gli permette di soddisfare e di riprodurre, e da cui non può non scaturire anche una diretta partecipazione emotiva.
“Mi sarebbe impossibile dipingere lentamente all’aperto, anche se volessi… Non c’è nulla di stazionario in ciò che ci circonda. L’acqua si ritira costantemente; le nuvole cambiano forma mentre si spostano… Si deve dipingere rapidamente, perché molto è perso in un istante, e non lo si può più recuperare” (Joaquín Sorolla).
Un uomo che sembra rincorrere il tempo, sfuggente e fuggevole, e volerlo fermare in istantanee di vissuto, fotogrammi di momenti, fotografie di spaccati di esistenza. E che usa un esplicito taglio fotografico: in quelle inquadrature dall’alto, nelle prospettive dai molteplici punti di fuga, nei piani inclinati che si intersecano, nella messa a fuoco di alcuni particolari in primo piano e nella sfocatura del “retroscena”, nelle pose studiate e immediatamente riprese.
Un amore per l’arte, che è la sua stessa vita. E per la vita tutta, che si esplicita nell’uso imponente della luce, elemento fondante e imprescindibile del suo stile compositivo. Perché la luce è la vita, che tutto irrora del suo bagliore vivifico, come un faro puntato sul mondo per illuminarlo e illuminare la sua vigorosa purezza vitale.
Il bianco impera sulle tele in ampi squarci o in brevi cenni guizzanti, trasmettendo un senso di solarità che rasserena e riappacifica gli animi. Luce, bianco, colori brillanti: e il “gioco” è fatto! Sia nei temi di denuncia sociale, privi di ogni retorica ma ricchi di grande dignità nei soggetti riproposti (che gli garantiranno il premio Gran Prix all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, decretando la sua definitiva fama internazionale!). Sia nei ritratti, i cui “attori” preferiti sono l’amata moglie Clotilde e i figli Marìa, Joaquín ed Elena, senza dimenticare i famosi letterati del periodo, con cui condivide gli ideali liberali e progressisti, e personaggi di spicco nella vita politica, come la famiglia reale spagnola. Sia nei paesaggi marini, tra bambini che giocano in acqua in un incredibile effetto di trasparenza, e signore che siedono o passeggiano sulla spiaggia, fondendosi totalmente con la scenografia circostante. Sia nell’effetto riflettente dei giardini che si rispecchiano in acque increspate dall’andamento semicircolare. Sia negli scorci prettamente panoramici che nei “tipos”, giganteschi quadri che ritraggono persone a grandezza naturale e di differenti luoghi del territorio iberico, studi che serviranno per realizzare quattordici murales per l’Hispanic Society of America di New York, un autentico monumento all’hispanidad.
Una visione artistica di glorioso impatto illuminantemente positivo e rivitalizzante, a cui ci dobbiamo abbandonare totalmente, lasciando ogni nostra tribolazione per l’intera durata del percorso di visita. “È inutile andare a vedere i quadri di Joaquín Sorolla con ombre e sogni nell’anima… A Sorolla occorre andare con la parola umana e il colore rosso del nostro cuore” (Juan Ramòn Jimenéz, 1904).
Ombretta Di Pietro
“Joaquín Sorolla. Pittore di luce”, la prima grande mostra in Italia dedicata al maestro spagnolo della luce. Realizzata da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, CMS.Cultura, in collaborazione con il Museo Sorolla e la Fondazione Museo Sorolla. A cura di Micol Forti e Consuelo Luca de Tena. Main sponsor: Gruppo Unipol. Catalogo: Skira Editori. Palazzo Reale di Milano, fino al 26 giugno 2022. Per info: www.palazzorealemilano.it.